Boris Bignasca e Boas Erez, candidati per un posto in Consiglio di Stato, si affrontano ed espongono due visioni opposte sul futuro del Ticino – L’ex rettore: «La maggioranza si lamenta ma non cambia mai le cose» – Il leghista: «Quel blocco non esiste, vogliamo solo evitare una società socialista»

©Gabriele Putzu
Nella corsa al Consiglio di Stato hanno entrambi ruoli un po’ atipici: uno, Boris Bignasca, si è messo in gioco per aiutare i colleghi uscenti (Gobbi e Zali) nella riconferma dei due seggi leghisti in Governo; l’altro, Boas Erez, si è messo a disposizione di PS e Verdi per completare, con una candidatura in rappresentanza della «società civile», la lista rossoverde. Ma, va da sé, oltre a ciò i due candidati hanno ben poco in comune.
La «società civile»
Per questo duello elettorale, partiamo proprio da quel termine, la «società civile», che vuol dire tutto e niente. D’altronde – chiediamo a Erez – anche Bignasca rappresenta la «società civile». O no? «Certamente – risponde l’ex rettore dell’USI – penso che pure Bignasca, così come tutti i politici, rappresentino la società civile quando (e se) fanno bene il loro lavoro. Ma il senso da noi dato a questo termine è un altro: PS e Verdi hanno voluto lasciare spazio a qualcuno che ha deciso di non fare una carriera politica standard. Uno spazio non lasciato libero dagli altri partiti. E io mi sento bene in questa definizione perché sono sensibile alle iniziative dal basso, alla politica informale che crea legame nella società». Un legame con la società che – rilanciamo a Bignasca – è venuto un po’ a mancare alla Lega negli ultimi anni? «Non direi», risponde il leghista: «Irisultati elettorali dimostrano come sia ancora oggi un movimento molto ampio, interclassista, che nonostante occupi posizioni istituzionali non si è ancora identificato totalmente con il potere».
A proposito di potere – chiediamo a entrambi – nella prossima legislatura servirà un approccio più d’opposizione o più collegiale? «La risposta è abbastanza semplice», premette Erez: «Uno degli aspetti che mi ha motivato a candidarmi in questa lista è la volontà dichiarata di diventare una forza di Governo. E non di andare in Consiglio di Stato solo per rompere le scatole. Vogliamo sì cambiare le cose. Ma assumendoci delle responsabilità». A questo punto, Erez lancia la prima frecciatina all’avversario: «Da tempo mi interroga questo atteggiamento dei partiti di maggioranza (il fronte borghese) che si lamentano di come vanno le cose. Se fosse da due o tre anni che sono la maggioranza, mi andrebbe anche bene. Ma sono al potere da decenni. Non potevano cambiare le cose?».
Pronta la replica (e contro-frecciatina) di Bignasca: «Io non sono un grande matematico, ma conosco i numeri del gruppo parlamentare della Lega: siamo 18 deputati su 90. E in Governo abbiamo 2 rappresentanti su 5». Ma non solo: «Io non vedo nemmeno un blocco borghese», aggiunge Bignasca. «Un fronte a cui non sento di appartenere. Il leit-motiv della campagna del PS è opporsi a un blocco che in realtà non esiste. Quello che invece esiste è un’alleanza che io oserei definire anti-comunista». Ovvero? «Le posizioni di PS, MPS e PC (probabilmente anche perché il PS deve inseguire l’MPS per non farsi superare a sinistra), sono di rifiuto del mondo liberale e capitalista occidentale. Una posizione legittima, ma il blocco che loro definiscono borghese in realtà è d’accordo solo su una cosa: non vogliamo una società socialista e statalista come propongono PS, MPS e PC. Questo mondo in cui ci sono i ‘bravi’ socialisti e i ‘cattivi’ borghesi è un po’ ottocentesco e da campagna elettorale».
Quale ruolo per lo Stato?
«Io non sono comunista», ribatte quindi Erez. «Io sono statalista, ma non nel senso che lo Stato deve occupare tutto il terreno disponibile, in un mondo in cui tutti sono uguali. Ritengo però che lo Stato, in maniera imprenditoriale, debba dare una direzione alla società e avere un ruolo importante per correggere le attuali derive in ambito sociale e ambientale. Non si tratta di andare verso un’economia comunista, ma di avere qualche idea in più rispetto alla svolta neoliberale, che non funziona più perché ha portato a uno sfruttamento esagerato delle risorse, sia umane che ambientali».
Quindi occorre più Stato? Non certo per Bignasca. «Uno dei settori più importanti dell’economia ticinese è quello delle PMI, che oggi subiscono un regime di tassazione più severo rispetto ad altri cantoni. Ma soprattutto subiscono una burocrazia che genera solo costi e meno competitività. Questa è la deriva che vogliamo arginare. Non vogliamo smantellare lo Stato, ci mancherebbe altro. Ma miriamo a fermare l’aumento della spesa almeno per qualche anno per permettere il risanamento delle finanze e per salvaguardare gli investimenti futuri». Detto con uno slogan: «Non vogliamo uno Stato debole, ma che la smetta di ingrossarsi».
La discussione tra i due candidati, più volte, si concentra sul tema dell’economia. E, non a caso, sollecitati su un’ipotetica vittoria alle urne, entrambi non hanno nascosto di avere una certa preferenza per il DFE. Bignasca per «fermare l’aumento della spesa e promuovere sgravi fiscali anche per le persone fisiche», Erez per «girare le priorità» dell’attuale conduzione del Dipartimento. Anche se, ha ammesso ridendo l’ex rettore, «con il decreto Morisoli e con gli attuali problemi finanziari, la conduzione del DFE potrebbe anche rivelarsi la ‘‘peppa tencia’’».
Il campo delle ipotesi
A proposito di domande ipotetiche: se il Cantone vincesse al Lotto, risanando le finanze e mettendo pure da parte un tesoretto di 500 milioni, come spenderebbero questi soldi i due candidati? Bignasca torna sulle finanze: «Li investirei in una politica fiscale che riesca ad attirare in Ticino una o due grandi aziende elvetiche, che purtroppo oggi sono tutte negli altri cantoni. E questo per fare in modo che il tessuto economico svizzero non tagli fuori il nostro cantone». Erez in parte concorda, ma con un approccio differente: «Questo esercizio lo farei con le aziende che sono già qui. Perché come visto nel campo della moda, poi molte aziende sono andate via con i lavoratori, lasciando qui solo capannoni. Ecco perché bisogna prima puntare sul radicamento delle aziende con il territorio. E se mi restasse qualche soldo, lo spenderei per incoraggiare le città nella transizione verso la decarbonizzazione».
E l’autogestione?
Detto dei sogni nel cassetto, chiudiamo con un tema ben più concreto, del quale non potevamo non parlare con i due candidati: l’autogestione a Lugano. Una realtà che secondo Erez «è necessaria affinché la società sia sana», anche se «non c’è nessun posto al mondo in cui l’autogestione non ha limiti». In questo senso, Erez lamenta il mancato dialogo fra la Città e l’autogestione: «È da 20 anni che li si lascia fare più o meno quello che vogliono. Altrove, invece, poco a poco le autorità sono riuscite a parlare con queste realtà», creando una convivenza che, chiosa l’ex rettore, «vorrei sia possibile». Per Bignasca, invece, non c’è spazio per chi non rispetta le regole: «La Città di Lugano è molto aperta e attenta nei confronti di tutte le dinamiche associative. Tutti quelli che bussano alla porta del Municipio e che rispettano le regole trovano, nel limite del possibile, un sostegno. Ma chi compie illeciti viene perseguito dalla magistratura e ne subisce le conseguenze».
Articolo di Paolo Gianinazzi
Il duello - Né borghese, né comunista è apparso sul Corriere del Ticino l'11 febbraio 2023