Dobbiamo perseguire un approccio in cui i centri e le periferie siano in una relazione di scambio di risorse e servizi, che non implichi necessariamente che il modello cittadino prenda il sopravvento.

In tutto il mondo, da anni, le popolazioni si spostano verso i centri urbani, e anche in Ticino lo spopolamento delle zone periferiche è un problema secolare. Il Ticino è un cantone che si può dire (tutto) alpino, ma la problematica è molto più sentita nelle zone montane. Vi sono però delle differenze nel tempo e tra le varie regioni, di cui si deve tener conto. Lo spopolamento è stato frenato nei trent’anni dopo la Seconda guerra mondiale. Poi lo spopolamento è ripreso con lo sviluppo delle politiche economiche neo-liberali. Sul piano regionale, se la popolazione dei distretti di Blenio, Leventina, Valmaggia, e di Verzasca, Centovalli e Onsernone nel 1950 rappresentava ancora il 14,3% della popolazione cantonale, nel 2019 ne rappresentava soltanto il 7%; Blenio ha però subito un calo della popolazione molto meno importante della Leventina, che di fatto è l’unica regione dove la decrescita è stata regolare. Inoltre, i comprensori montani hanno tutti registrato un saldo demografico negativo, che è stato compensato da crescite nei comprensori di bassa valle, tranne — ancora una volta — per la bassa Leventina.
Non potrei formulare in maniera più chiara e concisa quello che ha recentemente scritto lo storico Luigi Lorenzetti. Dobbiamo — dice — « interrogare [il] modello di sviluppo che, soprattutto a partire dall’ultimo quarto del XX secolo, ha posto la globalizzazione, le economie di scala e le “reti lunghe” al centro » e « che a seguito della recente pandemia, ha dimostrato le sue fragilità, oltre che le sue responsabilità nella crescita delle ineguaglianze economiche e sociali e nell’accentuazione della crisi ambientale. Nel caso del cantone Ticino, ciò significa ripensare il ruolo delle periferie, non più quali “spazi a rimorchio” delle aree urbane forti, ma come aree in cui promuovere modelli di sviluppo che valorizzino la sostenibilità ambientale, economica e sociale attraverso le risorse locali, sia materiali che immateriali.» (La Città Ticino e il rapporto tra « terre alte » e « terre basse », epaper di Coscienza Svizzera, 2021, p. 6).
Investimenti passati e disinvestimenti recenti
Per molto tempo lo Stato ha provveduto ad assicurare anche nelle zone periferiche servizi infrastrutturali di base, come l’approvvigionamento idrico ed elettrico, la telefonia e la connessione alla rete internet. Pure la presa a carico delle persone fragili e vulnerabili era stata presa in conto. Poi però sono scomparsi diversi servizi di prossimità: gli uffici postali, la piccola distribuzione, i servizi sanitari di base, le scuole e i luoghi di incontro (caffè, bar, ristoranti, …). Si dirà che è una questione di massa critica, ma è un ragionamento un po’ rapido, che non tiene conto delle scelte degli attori economici che hanno lasciato le valli. Il fatto che l’agricoltura sia stata spinta ai margini, non ha certo compensato le perdite, ha anzi contribuito ad alimentare la visione che la montagna sia uno spazio a vocazione principalmente rurale.
Le aggregazioni permettono di risolvere alcuni problemi, ma malgrado siano andate abbastanza lontano, non sono sufficienti. Nella valle di Blenio si è passati da 19 a 3 comuni, in Valmaggia da 22 a 8, in Verzasca 7 a 1; i nuovi comuni hanno evidentemente una popolazione più numerosa, ed entrate fiscali maggiori, il che permette di contemplare investimenti più importanti, ma restano altri problemi. In particolare, non sembra che i servizi di prossimità siano riapparsi.
Un patto con impegni reciproci
Le periferie non devono semplicemente servire gli interessi dei centri. Dobbiamo perseguire un approccio in cui i centri e le periferie siano in una relazione di scambio di risorse e servizi, che non implichi necessariamente che il modello cittadino prenda il sopravvento. Ci vorrebbe un patto di interdipendenza che valorizzi gli aspetti delle diverse regioni, soprattutto nel momento storico in cui appare ormai evidente a tutte e a tutti quanto siano importanti le questioni di sostenibilità ambientale e sociale. Non dobbiamo soltanto operare con l’obiettivo di preservare la rusticità e la ruralità delle zone discoste dai centri. Le zone periferiche dovranno continuare adappoggiarsi alle città, che però a loro volta dovranno essere più attente a valorizzare le peculiarità delle periferie. Il Cantone dovrebbe mediare tra i diversi livelli, facendo attenzione a ottimizzare la vivacità dei vari territori. Bisogna rivitalizzare le valli riportandovi i servizi dismessi che si trovano normalmente in una cittadina, e al contempo rivitalizzare le città portandovi una maggiore cura per il territorio e le risorse (vedi Il giro di Boas con Pierluigi Zanchi).
Questo porterà tra l’altro le popolazioni delle città e delle periferie a conoscersi e a capirsi meglio, il che è fondamentale per affrontare insieme le importanti sfide che ci attendono.
Qualche esempio (in ordine alfabetico)
- fino all’inizio degli anni ’60, Agno e il Piano del Vedeggio erano ancora una zona rurale dell’entroterra di Lugano. Poi hanno vissuto la costruzione dell’autostrada nel 1968 e l’espulsione dal centro urbano delle attività e delle funzioni meno pregiate. Negli ultimi decenni il Piano è stato il comprensorio ticinese che ha dimostrato il maggior dinamismo economico, e si può pensare che vi stia nascendo la quarta città del Cantone. Però sembra che le decisioni quanto al suo futuro siano ancora prese a Lugano (vedi Documento sull’aeroporto);
- come raccontato ne Il giro di Boas con Francesca Pedrina, Airolo è riuscita a non diventare la periferia della periferia dopo la costruzione della galleria di base del San Gottardo (Alptransit), malgrado il rischio fosse reale. È soltanto grazie all’iniziativa degli abitanti, che approfittando del raddoppio della galleria stradale — tra l’altro osteggiato da molti — hanno immaginato una maniera per dare nuova vita al loro comune di montagna;
- in questi giorni i comuni di Astano e di Vacallo sono stati giustamente citati per il loro operato pro-attivo nell’accoglienza di rifugiati ucraini. Comuni piccoli, in zone periferiche possono svolgere funzioni vitali, grazie alla minore distanza tra le autorità e la popolazione. Naturalmente l’iniziativa e la lodevole attenzione degli abitanti non va per niente da sé, e restano gli ingredienti fondamentali per un sano esercizio della democrazia partecipativa.
- a Breno, in quella che adesso è una frazione del comune Alto Malcantone, ancora recentemente vivevano persone che erano scese solo un paio di volte a Lugano, che dista una decina di chilometri. A credere che non ve ne fosse bisogno. Qualche tempo fa il locale negozio della Coop è stato chiuso. Non era per niente deficitario, ma non produceva abbastanza profitti. Il negozietto, l’unico della zona, serviva soprattutto alla popolazione più anziana e fungeva da luogo di incontro. Per fortuna si è trovato il modo di mantenere il servizio con la creazione di un’associazione, che si è sostituita a un’azienda che sembra aver dimenticato le proprie origini.
- Corippo (Verzasca) era ben vivo alla fine del XIX secolo, e la tessitura a domicilio vi dava lavoro a una cinquantina di persone. Oggi offre 8 posti di lavoro, e questo solo grazie a un’iniziativa originale che l’ha trasformato in albergo diffuso (vedi Cartolina).
- Olivone (Blenio) ospita dagli anni 1990 l’Istituto alpino di Chimica e di Tossicologia (IACT), retto dalla Fondazione alpina per le scienze della vita. Questo istituto esegue in maniera competente, e in larga parte per conto del Dipartimento delle istituzioni, lavori di chimica forense e tossicologia. Offre posti di lavoro che non ci si aspetterebbe di trovare in una zona così periferica. È da notare che il tempo di percorrenza da Bellinzona a Olivone è mediamente più breve che quello fino a Lugano, dati i problemi legati al traffico.
- a Peccia (Vallemaggia) sorge il Centro internazionale di scultura, che propone residenze creative e borse di studio ad artisti dal mondo intero. Organizza esposizioni, e valorizza la produzione dell’unica cava di marmo della Svizzera.